Cos’è e come funziona la protesi d’anca
Quando l’articolazione dell’anca è gravemente danneggiata dall’artrosi solitamente non è possibile migliorare la funzione articolare e risolvere il dolore con le sole cure conservative.
Di conseguenza, la terapia di scelta è rappresentata dall’intervento di protesi d’anca (detto anche artroprotesi dell’anca).
L’artroprotesi dell’anca consiste nella sostituzione del tessuto osseo danneggiato dal processo degenerativo con delle componenti protesiche.
Queste sono costituite da diversi materiali, sia sul versante acetabolare (coppa acetabolare) che su quello femorale (stelo e testa femorale).
Le due componenti si articolano tra loro, ricostruendo dal punto di vista morfologico e funzionale un’anca anatomicamente sana, che si muove liberamente senza dolore, e adatta a supportare il peso del corpo durante le attività.
La protesi d’anca è uno degli interventi chirurgici ortopedici di maggior successo, che permette il recupero di un’ottima qualità di vita.
I nuovi impianti protesici e le tecniche mininvasive riducono notevolmente l’impatto della chirurgia e consentono un veloce recupero e ritorno alla vita di tutti i giorni.
Protesi dell’anca: in quali casi l’intervento chirurgico è raccomandato?
La maggior parte dei pazienti che si sottopone ad intervento di protesi dell’anca ha un’età compresa tra i 55 e gli 80 anni.
Tuttavia, non esistono limiti anagrafici e anche pazienti più giovani possono necessitare di un intervento di protesi d’anca; allo stesso modo i pazienti ultra-ottantenni, quando indicato, possono essere sottoposti ad intervento chirurgico.
Pertanto, l’indicazione all’intervento chirurgico dipende dalle caratteristiche del singolo paziente piuttosto che da meri criteri anagrafici.
In caso di diagnosi di coxartrosi avanzata, le situazioni cliniche in cui è raccomandato l’intervento chirurgico sono le seguenti:
- Dolore che non risponde più alle terapie conservative, come fisioterapia e farmaci antinfiammatori.
- Dolore all’anca continuo, che non recede con il riposo (dolore notturno).
- Dolore presente durante la camminata e lo svolgimento di comuni attività quotidiane.
- Rigidità articolare che impedisce semplici movimenti quotidiani come infilare le calze, salire/scendere dalla macchina o sollevare pesi.
Come cambia la vita dopo l’intervento chirurgico?
Dopo l’intervento di protesi d’anca, il paziente può tornare alle proprie attività quotidiane in maniera assolutamente soddisfacente.
Si può riprendere a camminare senza dolore, svolgere comuni attività lavorative, anche se queste richiedono sforzi fisici di maggiore intensità.
Sarà possibile perciò camminare per lunghi tragitti, stare in piedi per un periodo prolungato di tempo o svolgere movimenti ripetuti, come salire e scendere da piani di differente altezza. Le protesi moderne sono infatti progettate per resistere a movimenti di questo tipo e a carichi importanti.
Non sono invece consentiti movimenti articolari estremi come un’eccessiva flessione della coscia o attività di carico ad alto impatto, che possono sollecitare eccessivamente la protesi.
Sono concesse le attività sportive (se vi è l’autorizzazione da parte del medico) purché queste non prevedano il salto o la corsa, bruschi cambi di direzione o sforzi non proporzionati al grado di allenamento.
Le attività concesse comprendono bicicletta, nuoto, golf, tennis in doppio, sci, arti marziali e yoga (seppur queste ultime con qualche limitazione).
Assolutamente da evitare invece sport come calcio e basket.
Come viene effettuato l’intervento chirurgico di artroprotesi dell’anca?
L’intervento chirurgico di protesi d’anca inizia con la pianificazione pre-operatoria. Questa viene eseguita mediante un apposito software digitale sulle radiografie del bacino.
In questa fase valuto una serie di parametri che mi aiuteranno nel riprodurre fedelmente la geometria articolare specifica di ogni paziente.
Questo aspetto è molto importante, perché non tutte le articolazioni sono uguali tra loro. Esistono infatti differenti morfologie articolari e differenti quadri degenerativi; inoltre, la qualità dell’osso non è la stessa per tutti i pazienti.
Tutti questi elementi devono essere correttamente valutati durante questa prima fase di pianificazione. Lo scopo è quello di scegliere il tipo di protesi d’anca adatto a riprodurre l’anatomia e la biomeccanica originarie di ogni paziente.
Ecco i parametri da valutare nell’intervento di protesi d’anca.
- Dismetria, ovvero la differenza di lunghezza delle gambe. Spesso le patologie dell’anca determinano un accorciamento dell’arto per via dell’assenza dello strato cartilagineo. Obiettivo centrale della pianificazione è quantificare tale dismetria, per poi compensarla durante l’intervento chirurgico.
- Morfologia del collo del femore. Questa è responsabile di diversi quadri artrosici dell’anca e indirizzerà la scelta del modello di stelo protesico. Il collo può essere di diversi tipi: standard, varo, valgo, lungo, corto o displasico; ognuna di queste conformazioni richiede un tipo di protesi corrispondente.
A seconda del tipo di stelo utilizzato, saranno influenzati alcuni parametri come la LUNGHEZZA DEL FEMORE e l’OFFSET. Quest’ultimo rappresenta la distanza tra il femore e il centro di rotazione dell’anca. E’ un paramento che influenza il lavoro del muscolo medio gluteo, principale elemento di stabilizzazione del bacino durante la deambulazione. - Misure delle componenti da impiantare, le quali variano a seconda delle dimensioni dell’osso. Questo passaggio permette di risparmiare del tempo intraoperatorio; è altresì utile per determinare la posizione nello spazio delle componenti protesiche, al fine di riprodurre un centro di rotazione articolare simmetrico a quello dell’anca controlaterale.
- Caratteristiche del paziente: peso corporeo, età e livello di attività, al fine di scegliere i materiali più idonei per la sua nuova anca. Il successo a lungo termine dell’intervento infatti dipende anche dalla scelta appropriata delle superfici di scorrimento della protesi.
La via di accesso che utilizzo è quella postero-laterale con tecnica mininvasiva.
Il vantaggio di questa tecnica è la preservazione delle importanti strutture muscolari e tendinee che stabilizzano l’articolazione.
Inoltre, nonostante un’incisione di dimensioni limitate, questa via consente un’ottima visualizzazione delle superfici di preparazione, sia sul versante femorale che su quello acetabolare.
Questo aspetto è fondamentale per il risultato finale, poiché assicura il rispetto della pianificazione e l’accoppiamento preciso delle componenti protesiche.
Che cosa si intende per intervento mininvasivo di protesi d’anca?
Il concetto di intervento chirurgico di protesi d’anca con tecnica mininvasiva fa riferimento a:
- Incisione della pelle di dimensioni ridotte, con migliori risultati estetici
- Veloce recupero post-operatorio
- Migliore controllo del dolore post-operatorio
- Migliore performance della protesi grazie al risparmio di importanti strutture muscolari
- Minore perdita di sangue, quindi minore rischio di trasfusione ematica post-operatoria
Il principio su cui si basa questa tecnica è la salvaguardia di gran parte dei tessuti, a cominciare da quelli muscolari e tendinei. Inoltre, utilizzo componenti protesiche che riducono al minimo il sacrificio dell’osso, dette appunto componenti “a conservazione ossea”.
Tutti questi vantaggi per il paziente, un tempo ritenuti impensabili, offrono oggi dei risultati chirurgici eccellenti.
Come viene fissata la protesi sull’osso?
La fissazione delle componenti nell’osso rappresenta un tema di primaria importanza ai fini della durata a lungo termine della protesi.
La trasmissione delle forze in un’articolazione artificiale (come durante la camminata o l’attività sportiva) deve essere la più fisiologica possibile.
Per tale motivo le nuove componenti protesiche prevedono una geometria che rispecchia quella dell’articolazione nativa.
Nella pratica, dopo l’adeguata preparazione delle superfici ossee, il posizionamento delle protesi nell’osso avviene mediante un meccanismo a “incastro” (in inglese press-fit).
Si garantisce così una stabilità primaria, sufficiente per lo sviluppo secondario di una fissazione biologica, rappresentata dalla crescita di osso nell’area di contatto con la protesi.
Questa, a sua volta, è rivestita da un materiale poroso osteoinduttivo, che favorisce appunto la crescita ossea.
Quanto dura una protesi d’anca?
Spesso mi trovo di fronte ad un paziente che mi rivolge questa domanda, cui tuttavia non è facile rispondere.
Un concetto molto comune è che la protesi possa avere una data di scadenza, dopo la quale perderebbe la sua funzione. Questo concetto è errato, poiché sebbene non sia pensabile che un dispositivo protesico possa durare per sempre, è altresì vero che non è possibile stabilirne a priori la durata nel tempo.
È rilevante considerare che l’aspettativa di vita della popolazione operata è in crescita. Per tale motivo la durata delle protesi assume un’importanza sempre maggiore.
L’obiettivo principale dell’intervento è pertanto quello di dare al paziente una normale funzione (senza dolore) della nuova articolazione, che duri per tutto il resto della sua vita.
Questo rappresenta una sfida significativa per noi ortopedici. Dobbiamo infatti garantire una durata della protesi tanto maggiore quanto più giovane è il paziente al momento dell’intervento.
Per tutte queste considerazioni è di capitale importanza interpretare i dati numerici offerti dai Registri Protesici Nazionali nell’ottica della singolarità di ciascun paziente.
Negli anni ’90 si calcolava che oltre il 90% delle protesi impiantate avesse una durata di 10-15 anni. Ad oggi queste percentuali sarebbero persino migliori, suggerendo un rischio di revisione a 10 e 20 anni rispettivamente del 4% e del 15%.
Il miglioramento dei risultati sul versante medico-chirurgico è imputabile a:
- Sviluppo di nuove tecniche operatorie
- Perfezionamento dei materiali utilizzati
- Maggiore attenzione nei confronti della riabilitazione post-operatoria
In definitiva, a 10 anni dall’intervento il 96% delle protesi è funzionante e non necessita di un intervento di revisione.
Sul versante individuale, dipendente quindi dalle caratteristiche del singolo paziente, vanno invece considerati:
- Età: quanto più il paziente è giovane, tanti più saranno gli anni attesi d’utilizzo della protesi; altresì, i pazienti giovani sono anche più attivi e sottopongono la nuova articolazione a maggiori sollecitazioni. Per questo presentano un rischio maggiore di andare incontro a revisione della loro protesi nel corso del tempo (i dati dalla letteratura scientifica riportano un rischio di revisione dopo 15 anni del 6% nei pazienti oltre i 75 anni, mentre questa percentuale sale al 10% nei pazienti al di sotto dei 55 anni di età).
- Attività del paziente: quanto più il paziente è attivo tanto maggiori sono le sollecitazioni sulla nuova articolazione, quindi più rapida e/o marcata l’usura.
- Caratteristiche biologiche: qualità dell’osso del paziente, sia per costituzione sia per condizioni acquisite (esiti di fratture e traumi, re-intervento, patologie metaboliche in atto).
- Peso corporeo: il peso corporeo corrisponde a un carico costante che grava sull’articolazione dell’anca. Il sovrappeso rappresenta pertanto una condizione persistente di sovraccarico articolare.
Alle variabili sopra riportate si aggiungono i processi para-fisiologici di usura delle componenti della protesi articolare e/o di allentamento della fissazione sull’osso. Tali processi si sviluppano inevitabilmente nel corso del tempo.
A ciò possono aggiungersi condizioni contingenti come traumi e infezioni. Queste sono condizioni più rare e sicuramente tangenziali ma meritevoli di menzione; rappresentano infatti una importante causa di re-intervento in pazienti già sottoposti ad intervento di artroprotesi.
- Quando una protesi si mobilizza, ovvero perde il suo ancoraggio sull’osso, si sviluppano dolore e limitazioni nella deambulazione. In questi casi sono interessati o lo stelo femorale o la coppa acetabolare o entrambi (nella protesi di ginocchio lo stesso processo può coinvolgere la componente tibiale o quella femorale). In questi casi sarà necessario un intervento chirurgico di rimozione delle vecchie componenti e sostituzione con delle nuove, specifiche componenti “da revisione”.
- Quando una protesi si consuma, ovvero esaurisce la sua funzione, sarà necessario intervenire per sostituire solo le porzioni componibili dell’impianto, ovvero la testina dello stelo e la sua superficie di appoggio all’interno dell’acetabolo (nelle protesi di ginocchio la componente usurabile è l’inserto in polietilene).
In questi casi si tratta di un intervento molto rapido, dove non vengono toccati gli elementi protesici se sono ben integrati nell’osso.
Intervento di protesi d’anca: le possibili complicanze
L’intervento di protesi d’anca è sicuro, con elevatissime percentuali di successo.
Come in tutti gli interventi chirurgici, anche in quello di protesi d’anca, sono possibili delle complicanze. Queste sono comunque decisamente poco frequenti (0,5-3% dei casi).
La loro conoscenza specifica e capacità di gestione è molto importante perché, nella rara eventualità in cui queste si presentino, andranno affrontate insieme al paziente con serenità, al fine di risolvere la situazione in modo ottimale.
Le possibili complicanze dell’intervento di protesi d’anca sono:
Infezione post-chirurgica
L’infezione dopo l’intervento chirurgico è un’evenienza rara, ma purtroppo possibile. Nonostante la purificazione dell’aria in sala operatoria, gli antibiotici somministrati nel periodo peri-operatorio e molte altre misure di prevenzione, si può verificare questa complicanza dopo l’intervento.
L’infezione, perlopiù di origine batterica, si può presentare in forma superficiale (interessando la ferita chirurgica) o profonda (interessando la protesi).
Quest’ultima evenienza si può verificare anche a distanza di anni dall’intervento chirurgico, a causa di germi provenienti da altre parti del corpo tramite il circolo sanguigno. Le infezioni virali, come ad esempio l’influenza, invece, non rappresentano un rischio per la protesi.
Tutte queste situazioni hanno modalità di gestione differenti. Dipendono in primo luogo dalla tempistica di presentazione dei sintomi e dal tipo di agente infettivo coinvolto.
Lussazione della protesi d’anca
Questa complicanza può essere definita come la perdita di contatto tra la testa della protesi e la coppa acetabolare.
È un evento raro ma possibile soprattutto nel primo periodo post-chirurgico, in cui i tessuti intorno alla protesi devono ancora guarire e non è ancora presente un pieno controllo muscolare da parte del paziente.
È per questo che nei primi 3 mesi dopo l’intervento sarà necessario “proteggere” la protesi, evitando i movimenti ai massimi gradi di escursione articolare.
Dismetria (differente lunghezza delle gambe)
Uno degli obiettivi principali dell’intervento di protesi d’anca è quello di ristabilire la corretta lunghezza della gamba, qualora questa fosse accorciata.
A seguito dell’intervento chirurgico potrebbero verificarsi due evenienze:
- Dismetria apparente: nel post-operatorio si percepisce l’arto operato come più lungo, sensazione che sparirà nelle settimane successive ed è perciò da considerarsi fisiologica.
- Dismetria vera: c’è una reale differenza di lunghezza tra le due gambe che, sebbene di pochi millimetri, può essere percepita dal paziente; ciò si può verificare nonostante un’accurata pianificazione pre-operatoria.
Mobilizzazione della protesi
La protesi d’anca (sia la componente femorale che quella acetabolare), si fissa sull’osso tramite un meccanismo “a incastro” che conferisce una notevole stabilità primaria.
Successivamente nel tempo si viene a creare un secondo meccanismo di stabilizzazione biologica, dovuto alla crescita ossea intorno alla superficie di appoggio della protesi.
In rari casi, sfortunatamente, questo non succede e la protesi può perdere la sua stabilità primaria sull’osso. Il movimento può quindi causare dolore e compromettere la capacità di camminare autonomamente.
Di conseguenza, è importante diagnosticare questo problema tempestivamente ed intervenire chirurgicamente.
La soluzione nella maggior parte dei casi sarà l’intervento chirurgico di revisione, con risoluzione del quadro e ripristino della funzione della protesi.
Altre complicanze
Nell’intervento di protesi d’anca sono possibili anche altre complicanze. Sebbene molto rare, ma pur sempre possibili, è doveroso annoverarle.
Queste comprendono:
- ematomi,
- lesioni nervose,
- lesioni dei vasi sanguigni,
- fratture ossee (sia sul versante femorale che su quello acetabolare),
- ossificazioni eterotopiche (per cui nei pazienti a rischio è opportuno effettuare una specifica cura di prevenzione),
- rigidità dell’anca,
- dolore che non scompare del tutto dopo l’intervento,
- usura precoce del polietilene.
Oltre a queste possibili complicanze locali, esistono delle complicanze mediche generali. Sono possibili dopo qualsiasi tipo di intervento chirurgico, perlopiù in pazienti con patologie pregresse.
Le complicanze mediche (infarto, tromboembolia, problematiche renali e altre) sono molto rare. Nella popolazione dei pazienti affetti da artrosi di anca e ginocchio, questi eventi avversi sono in proporzione più frequenti tra individui che assumono farmaci antinfiammatori per lungo tempo, allo scopo di controllare il dolore evitando l’intervento chirurgico.
Spero di aver spiegato in modo esaustivo che cosa è la protesi d’anca e quali sono i vantaggi delle nuove tecniche mininvasive.
Contattami se desideri avere ulteriori informazioni o per fissare un incontro e capire come è possibile risolvere il tuo problema all’anca!